Anno XIX Numero 1 – Aprile 2021 – LIBERTA’ NEGATA O TUTELATA
SPECIALE 09 MAGGIO
Festa delle mamme. Un’omaggio a loro e a colei, Maria, che è madre di tutti e tutte.
La mamma ha un ruolo fondamentale nella vita dei figli, bambini o grandi che siano. Forse è per questo che esiste una giornata interamente dedicata alle mamme, in cui tutte le famiglie fanno festa in qualche modo a questa figura. Tutti noi ricorderemo certamente quante rose abbiamo donato alla nostra mamma nei diversi anni e, soprattutto in tenera età, quante poesie o canzoncine abbiamo preparato per loro. Ricordate la famosa letterina sotto il piatto, quando tutta la famiglia era riunita per il pranzo? O le recite preparate a scuola o in oratorio, durante le quali abbiamo giustamente esaltato la nostra mamma?
Da sempre, le mamme sono pilastri e colonne portanti della famiglia, sempre pronte, sempre presenti, sempre disponibili a rinunciare a se stesse, ai loro spazi, ai loro desideri; le mamme sono protese, piuttosto, a servire i figli e a curare il benessere della famiglia. Mamme che consigliano, consolano, sanno essere vicine in ogni situazione, impegnate a rallegrare la tavola con pietanze e profumi che diventano un segno distintivo in ogni casa, un ‘marchio’ inimitabile. Certo, nel tempo, I grandi cambiamenti sociali hanno chiesto anche alle mamme di adattarsi e ridefinire, in qualche modo, il loro ruolo nella società e anche nella stessa famiglia. Oggi, molto più di ieri, le donne si realizzano giustamente anche nell’esperienza professionale e hanno dovuto reinventarsi, per conciliare la vita casalinga con nuove identità di donna impegnata nel lavoro. Si tratta di assicurare tutto l’affetto necessario ai figli, educarli e formarli contemporaneamente con mansioni che le tengono spesso lontano da casa. Negli anni abbiamo in effetti registrato un cambiamento culturale importante che vede protagoniste anche le donne in ogni campo, da quello politico a quello sociale, da quello familiare a quello ecclesiale … e, certamente, si è evoluto ed è mutato il ruolo materno nel presente. Non sta certo a me dire cosa significa essere madre oggi, e quale ruolo giocano le nostre madri nella società. Sarebbe utile ascoltare loro, le loro esperienze, conoscere i sogni che coltivano, le fatiche con le quali si confrontano ogni giorno, le piccole-grandi conquiste che rendono più lieve il loro andare. Avremmo tanto da imparare!
Non possiamo però anche oggi non guardare, tutti insieme, a Colei che è Madre di tutti e che, credo, possa continuare ad essere riferimento e modello anche di ogni madre. La maternità è, infatti, ciò che maggiormente caratterizza il profilo di Maria, la madre di Gesù. Spesso ci affidiamo a lei perché sappiamo che è accogliente e non potrebbe non esserlo, lei è la Madre del Dio con noi ed è la madre che Dio stesso ha voluto per noi. Una maternità da lei accettata con amore e, quindi, lei ci ama con lo stesso amore con cui ha amato Gesù, possiamo dire in perfetta continuità. Tutti noi abbiamo certamente in mente tantissime immagini che riproducono la scena della Madonna con in braccio il bambino Gesù, intimamente uniti.
Per volontà di quest’ultimo, ora, quel bambino a lei affidato siamo ciascuno di noi, per questo siamo incoraggiati nel nostro affidamento a lei. Ancor di più questo vale per ogni donna ed ogni madre che può trovare in lei una fonte di ispirazione nella difficile arte di essere madre. Affidarsi alla maternità di Maria significa aver compreso (magari anche sperimentato) che l’amore materno è il primo amore e, quindi, un amore che rimane sempre speciale, unico e insostituibile. Quello di Maria (come quello di ogni madre) è un amore che genera, soprattutto alla vita spirituale, alla vita divina, è poi un amore che nutre, dona la vita ed è pronto al sacrificio per il nostro bene e la nostra vera gioia. Poi, come il dono della vita naturale non accade senza i dolori della madre, anche Maria paga l’altissimo prezzo dell’amore per noi con il dolore. Come ha offerto in sacrificio il Figlio ai piedi della croce, continua a partecipare intimamente al dramma della salvezza, facendoci nascere alla vita di Dio e, continuamente, rinascere dalla situazione di peccato, di smarrimento, di fallimento che spesso proviamo nel cammino della nostra esistenza. Un innamorato della Madonna, L.M.G de Monfort, scriveva che “si possono applicare a Maria, più che a San Paolo, queste parole: Figlioli miei, che io di nuovo partorisco nel dolore finché non sia formato Cristo in voi (Gal 4,19), ed anche Io genero ogni giorno i figli di Dio fino a tanto che in loro sia formato nella sua piena maturità Gesù Cristo, mio figlio (Ef 4,13).
Ogni donna che si affida ed affida la sua maternità a Maria (ma questo può anche dirsi di ogni uomo che è pure chiamato ad essere madre, oltre che padre, di ogni creatura) viene resa partecipe di una maternità elevata, pienamente disponibile anche alle opere di Dio. Non si tratta solo di protezione, custodia, esempio morale, ma è proprio un “dare la vita”, una vita da difendere dalle grinfie della morte e, per questo, destinata ad essere vita sempre nuova, vita destinata alla risurrezione. Auguro perciò a tutte le donne di diventare per tutti coloro di cui si prendono cura capaci di educare plasmando, conformando la vita, come se si trattasse di una tela che va continuamente tessuta per raggiungere la piena bellezza ed ogni perfezione possibile. Ogni madre ha il compito di educare alla libertà, alla responsabilità, a ricevere in consegna e a consegnarsi, a ricevere il dono e diventare dono per gli altri. Guardare alla Vergine Maria non potrà che aiutare ad acquisire la sua capacità di generare, alimentare e curare la vita divina, creando pazientemente negli altri un cuore nuovo.
Affidiamoci a Maria con amore di figli. Significa affidarsi ad un amore concreto, un amore cioè che fa crescere insieme, il corpo e l’anima, ma anche i fratelli tra loro; significa avere attenzione per le piccole cose e coltivare la grandezza d’animo; significa sì avere un amore instancabile, continuo, costante, affidabile, premuroso … ma anche pronto ad accogliere e percepire i bisogni, sapendo ben distinguere quelli che sono per il bene da quelli che sono solo capricci o illusioni, capace di accorgersi delle variazioni del cuore, degli stati d’animo, dei sentimenti diversi, dei vari cambiamenti, valorizzando quelli che sono per la crescita e scoraggiando gli altri, sempre nel rispetto pieno della libertà di ciascuno. Insomma, lo stile della Madre tiene conto del mondo del cuore ma anche del concreto, insieme. Uno dei più antichi cantori della Madonna, Germano di Costantinopoli, così le diceva: Come abitavi con il tuo corpo tra gli uomini dell’età passata, così anche ora abiti in spirito tra di noi; la grande protezione con cui ci favorisci è indice della tua abitazione in mezzo a noi; tutti sentiamo la tua voce e la voce di tutti giunge alle tue orecchie e, come, a causa della tua protezione, siamo da te conosciuti, così noi riconosciamo sempre la tua ausiliatrice protezione.
Questa protezione la invochiamo anche noi in questa festa, per l’umanità, per tutte le donne, specialmente quelle che sono madri. Auguri!
Piero Puglisi
SPECIALE 01 MAGGIO
L’Italia si cura con il lavoro.
“L’Italia si cura con il lavoro” non è solo lo slogan scelto da CGIL CISL UIL per la Festa del Lavoro del 1° Maggio, ma anche la strada attraverso la quale occorrerà coniugare benessere e sicurezza.
La fase pandemica che stiamo vivendo ha spazzato via certezze, ritualità, abitudini ma ha anche stravolto l’approccio al lavoro e le sue modalità di svolgimento.
La smaterializzazione dei luoghi di lavoro, portata dallo smart-working e la conseguente domiciliarizzazione del lavoro stesso, hanno trasformato i lavoratori in moderne cavie, sulle quali sperimentare nuovi modelli di produzione e di erogazione dei servizi. Gli orari sono diventati più che flessibili ormai fluidi, “loggarsi” direttamente dal pc di domestico, ha trasformato la casa, in luogo di lavoro, la socialità ha lasciato il passo alla condivisione di spazi privati ed intimi con procedure, protocolli telematici, banda larga, video call. La tecnologia ha permesso una cosa impensabile pochi mesi fa la cottimizzazione del lavoro pubblico, la trasformazione dei lavoratori dipendenti privati in piccoli azionisti, senza però diritto a voto o dividendi, che mettono a disposizione gratuitamente il loro “privato immobiliare” in un sistema in cui la logistica diventa a carico del lavoratore. Qualità del lavoro derivante dalla bontà dell’abitazione in una sorta di circolo vizioso classista: a parità di mansioni e retribuzione, se vivo in una zona residenziale, con luminosità degli ambienti domestici, aria condizionata, con banda larga, abitazioni “ergonomiche e domotiche la mia qualità del lavoro è più alta di un altro che vive in un’area interna, in un casale ristrutturato con una connessione lenta ed obsoleta. In sostanza la qualità del lavoro, non è più data dai fattori connessi al luogo di lavoro: fabbrica, ufficio, studio, negozio, ma dalla tipologia ed dalla localizzazione abitativa. La stessa concezione di infortunio sul lavoro potrebbe a breve assumere contorni tragicamente surreali, l’infortunio in itinere, ossia quello occorso nel tragitto casa-lavoro, potrebbe avvenire nel corridoio che collega la camera da letto con lo studio, e se vivo in una casa a più piani con scale a chiocciola, notoriamente a rischio caduta, il premio dell’assicurazione INAIL risulta più elevato, quindi come azienda mi converrebbe assumere lavoratori che vivono in appartamenti su un unico livello. Paradosso forzato o prospettiva probabile? Non è tanto utile trovare la risposta, quanto piuttosto interrogarsi sull’acuirsi delle disparità, tra lavoro pubblico e privato, produzioni manifatturiere e grande distribuzione, call center e riders, la sicurezza sul lavoro, rispetto al rischio contagio da Covid potrà misurarsi solo sulla possibilità di smart-working negata o impossibile a molte categorie di lavoratori, oppure i protocolli di sicurezza devono diventare importanti e soggetti a controlli e “revisioni periodiche “ al pari delle infrastrutture logistiche? Curare con il lavoro, è già realtà, lo fanno medici, infermieri, operatori sanitari, ospedali e luoghi di cura non hanno chiuso, mai, i lavoratori non hanno avuto ristori ne premialità. La sanità pubblica ha retto finora un peso enorme, regioni dove la presenza del privato è assai elevata hanno patito, il privato convenzionato non sempre ha risposto presente alla chiamata alle armi nella guerra contro il Covid, e spesso abbiamo visto e vediamo troppe mimetiche al posto di comando in funzioni dove magari sarebbe più normale aspettarsi di trovare camici o manager.
Associazioni e fondazioni hanno invece in carico la cura alla persona, di soggetti fragili, disagiati o emarginati. Lottano e si arrabbatano tra fondi pubblici che tardano ad arrivare, resoconti da inviare, turni di lavoro da organizzare, familiari da contattare, pazienti o ospiti da accudire, finanziamenti da scovare e da inseguire.
L’importanza del Terzo Settore nella cura alla persona ha assunto ed assumerà, ancora di più nei prossimi decenni, un ruolo sempre maggiore, ma occorre che aumenti il suo peso specifico all’interno del quadro istituzionale.
Le ingenti somme destinate dal Recovery Fund all’inclusione sociale, rischiano di rimanere prigioniere di un meccanismo che vede il pubblico istituzionale come gestore monolitico, rispetto ad un universo articolato e multicentrico, le marginalità e le povertà sociali, economiche e culturali abitano spesso molto lontane dai centri di potere, ed a occuparsene sono in maggior parte enti ed associazioni di volontariato, è utopia immaginare di legare lavoro dignitoso e tutelato, con attività di volontariato che si innestino in un ruolo sussidiario, su un canovaccio nel quale il lavoro curi anche gli operatori?
Esiste il business dell’assistenza certamente, alcune RSA durante la pandemia in alcune regioni, sono state la dimostrazione plastica di quanto deviante a volte può diventare un modello nel quale il pubblico abdica, a favore del privato, e la cura diventa affare, un affare di pochi a scapito di tanti, ma esiste anche un mondo fatto di esperienze virtuose frutto del connubio tra impostazione cattolica e managerialità sociale, o tra passione laica e partecipazione diffusa che riabilitano, accompagnano, insegnano, recuperano, elaborano strategie ed azioni di inclusione sociale. Quale ruolo deve avere il lavoro dentro questo sistema ibrido, come ridurre irregolarità ed abusi, ma anche come offrire opportunità di emersione, garanzie di continuità delle risorse, un sistema di controlli che non sia solo repressivo ma che imposti a monte procedure antielusive. Cosa resterà del distanziamento sociale dopo la pandemia? Io sono tra quelli che auspica e si augura un ritorno alle origini, convivialità, socialità in una ritrovata e rinnovata contaminazione etnica e culturale, che veda i viaggi, il turismo, ma anche le escursioni urbane, in borghi a forte caratterizzazione enogastronomica, per curarci serve il lavoro, quello dipendente dei servizi, del manifatturiero, delle industrie certamente, ma anche quello autonomo, artigiani, ristoratori, quello delle produzioni culturali, artisti, musicisti. Ma bisogna avere cura del lavoro, tutelarlo da false riforme, da attacchi verso quello pubblico degli “ sfaticati” che in questa pandemia si sono però trovati a fare doppi e tripli turni negli ospedali e nelle ambulanze, tutelarlo dall’impoverimento di quello privato, dall’assurdità di riders a tempo pieno considerati lavoratori autonomi. Universalità dei diritti e delle tutele, la malattia retribuita e trattata allo stesso modo tra lavoratori dipendenti ed autonomi, maternità uguale tra gestione separata Inps per collaboratori e lavoratori dipendenti, pensioni di garanzia per i lavoratori precari, copertura previdenziale e contributiva della discontinuità lavorativa affidata alla fiscalità collettiva .Lavoro è dignità, è emancipazione, ma è anche pericolo, quando la logica del profitto sbriciola la sicurezza sul lavoro, ed il bisogno costringe ad accettare il rischio, in una macabra lotteria che lascia sul campo morti, morti bianche che però spesso hanno anche il colore nero della irregolarità.
Come potrà il lavoro curare l’Italia se di lavoro si muore, ancora e sempre di più?
Per questo motivo non troverò mai anacronistico scendere in piazza il Primo Maggio affinché il lavoro sia una festa e non un lutto, e la sicurezza sia la prima tra le tutele.
Antonio Cimino Segretario Generale NIDIL CGIL AREA VASTA CZ KR VV
“Signore liberaci da tutti i mali”. La vera vita è nella libertà di risorgere.
Da un anno a questa parte sentiamo spesso l’espressione “non siamo più liberi di vivere come vogliamo, abbiamo perso la libertà…”, e frasi simili. La pandemia del covid-19 ci ha, in effetti, costretti a rivedere tante cose del nostro stile di vita e delle nostre abitudini. Ciascuno di noi, secondo la sua personalità ed il proprio carattere, vive le privazioni o le limitazioni con maggiore o minore sofferenza, magari alcuni si lasciano condizionare dalla situazione che viviamo persino al punto di sperimentare momenti di depressione, di rabbia, di vera sofferenza, altri, invece, ne fanno tesoro per rivedere la propria vita e operare un ‘salutare’ cambiamento, dando un nuovo (e spesso giusto) valore alle cose, le giuste priorità, ridefinendo e dando lucentezza ai valori che più valgono.
È emblematica l’esperienza di un giovane carcerato che racconta come si sia scoperto libero quando lo hanno arrestato, perché allora ha potuto finalmente rinunciare a tutti quei miraggi di vita nell’agio che lo costringevano a delinquere. Liberarsi da questi falsi desideri ha significato non la fine della sua vita, ma proprio l’inizio della sua libertà. È diventato libero in carcere. Credo che questa storia possa essere significativa per tutti, specie nella situazione che viviamo.
È difficile definire la libertà, non la si vede, non la si può toccare, forse la possiamo solo riconoscere dagli effetti che genera. Noi possiamo, per esempio, accorgerci del vento guardano le foglie muoversi o sentendo sul nostro viso un soffio più o meno intenso. A pensarci bene però, forse possiamo anche riuscire a vedere la libertà nel volto di chiunque sia nato veramente alla propria umanità, nell’uomo e nella donna che sboccia dalla radice divina, nella persona, cioè, che ha imparato ad amare oltre l’egoismo. Non dimentichiamolo: siamo stati fatti (creati) “ad immagine e somiglianza di Dio”.
La libertà si forma poco a poco, in un viaggio che ha una meta, un cammino che aiuta la persona ad essere unica, a prendere una forma ben precisa e chiara. La libertà è una lenta conquista del nostro essere verso una maggiore e coraggiosa conoscenza di noi stessi. Ed in questo andare, è necessario educarci a scartare le false immagini che abbiamo della libertà, per esempio quella della libertà come libero arbitrio, come totale autonomia e autodeterminazione. Un’immagine così sviluppa nell’uomo la convinzione di esser onnipotente, di bastare a se stesso, alimenta l’indifferenza e distorce il vero senso della vita e la bellezza delle relazioni. Essere libero non significa che io devo affermare i miei diritti contro tutti, no, questo è egoismo. La libertà è la maturazione del mio essere in tutte le sue possibilità, è il mio essere che va oltre tutte le forme per portare avanti quella vita che è l’uomo in noi. La libertà autentica esprime, infatti, la dignità della persona umana, il rispetto di essa in sé e negli altri, fino a farci giungere alla meta più alta del cammino della libertà che, infatti, si realizza pienamente e compiutamente quando nella persona tutto si trasforma in amore. Amore creativo, generoso, fedele, paziente, carico di compassione e di misericordia … un atteggiamento e un modo di vivere che non è mai incline al male. Allora la libertà diventa dedizione, servizio, passione e impegno per l’uomo, specie quello più fragile e solo.
Si parla spesso di ricerca della felicità ma, badiamo bene, la felicità vera è fatta di comunione, di vita buona condivisa, di amore e impegno per la giustizia che guarisce le ferite delle persone e cambia le situazioni a vantaggio di tutti. Ci sono situazioni della vita, momenti di prova o di dolore che possono ferire la vita che è in noi, talvolta fino a procurarci delle piccole o grandi morti interiori. Anche la paura e i condizionamenti della pandemia che affligge attualmente il mondo possono smorzare notevolmente il flusso della vita che è in noi. La Pasqua viene allora a portarci un nuovo messaggio di speranza e un nuovo invito a celebrare e credere alla Vita, e questa forza vitale, che è proprio dono della Pasqua, ci aiuta a vivere un nuovo tempo di Resurrezione. Se ci sentiamo morti dentro, nell’anima e nel cuore (effetto possibile dell’attuale pandemia o di qualunque altra situazione personale o sociale), il Risorto viene a risvegliare in noi un rinnovato desiderio di metterci alla ricerca della felicità. La Pasqua è un appuntamento con un nuovo abbraccio di Dio che ci attende, l’abbraccio che, se fossimo morti dentro, è capace di sgretolare il gelo per accoglierci nella vita eterna che, come ho precisato tante volte, non è la vita che ci attende oltre la morte (anche!) ma è, soprattutto, la vita di Dio, la vita divina che entra nella nostra carne già ora e ci fa pregustare ed anticipa in noi una dimensione Alta ed Altra della Vita, quella, appunto, che ci fa essere pienamente liberi, liberi di esistere, liberi di amare e, dunque, di realizzarci autenticamente, liberi di ‘volare’, prendendo le distanze da una vita mediocre, in trappola, ‘terra terra’…
Un grande teologo, Bonhoeffer, diceva che bisogna “vivere partendo dalla resurrezione”. Credo che il senso di questa affermazione ci riguarda tutti: non si può vivere avendo paura, della malattia, dei pericoli incombenti, di un fallimento, delle perdite di persone o cose a cui teniamo, della morte. Non si può aspettare che il male chiuda tutto, semmai dobbiamo vivere assumendo la forza di un amore che crediamo più forte della separazione, della solitudine e della morte come evento finale che distrugge tutto. Ogni morte, quella interiore e quella fisica, deve essere solo un evento di passaggio e di nascita piena, non la fine di tutte le cose, un evento di cambiamento, di tras-figurazione, che significa vedere e vivere tutte le cose e la vita nel suo insieme con una nuova luce, più splendente e assai più luminosa. Dobbiamo imparare a vedere le cose da un’altra prospettiva rispetto a quella alla quale siamo abituati, imparare a guardare ogni cosa come la vede Dio e dalla sua prospettiva. Chi dà spazio alla paura e crede nella morte resta intimamente disperato e solo, non può sperimentare e gustare la libertà, anche se non se ne rende conto; che crede nell’amore, chi alimenta nel suo cuore la speranza, chi sa affidarsi al Dio che rende liberi, si apre alla verità della vita, alla Vita vera.
Buona Pasqua, allora: sia un evento che faccia sperimentare a tutti noi una Libertà rinnovata, sia occasione propizia di Resurrezione, sia motivo di una gioia intensa e piena. L’Amore vince sempre! Chiediamo insieme al Dio, che è Vita e Libertà, questo dono, chiediamogli di liberarci da tutto ciò che vorrebbe legarci e incatenarci, di liberarci da ogni male, di rotolare ogni masso dal nostro cuore per poter andare e continuare il cammino, liberi e leggeri. Auguri a tutti. È tempo di risorgere con Cristo, nostra Pasqua.
p. Piero Puglisi
SOCIETA’
Tutela della salute collettiva e libertà individuale a confronto
Giuseppe Bianco – Sociologo e Docente
Marzo 2020 – Marzo 2021. Dopo diversi decenni, di schizofrenica velocizzazione delle vite umane, orientate all’ordine imperioso del “discorso del capitalista” (come avrebbe detto lo psicanalista Jaques Lacan), il mondo occidentale si è trovato costretto ad entrare in un paradigma del tutto nuovo: “il lockdown”.
SPIRITUALITA’
La ricerca della libertà, piccoli gesti di uomini di migrazione
Francesco Melito – Antropologo Educatore
Di richiedenti asilo e rifugiati si parla molto ultimamente, spesso evocando in maniera più o meno sottile gli scenari delle guerre lontane e della miseria, ma anche dell’invasione, della minaccia terroristica e della contaminazione. Ma chi sono costoro?
VOLONTARIATO E TERZO SETTORE
La libertà di scegliere percorsi nuovi e di ricominciare
Associazione C.A.M. Gaia
Sarà che il Natale è la festa della gioia di vivere e della vita, sarà che a Natale si fanno sempre buoni propositi, senza alcun dubbio e nonostante il maledetto COVID, il Natale arriverà lo stesso e i sentimenti del cuore manterranno la fiammella della speranza.
SANITA’
Il vaccino: una scelta libera o un obbligo morale?
Ludovico Abenavoli – Dirigente Medico A.O. Mater Domini e Docente UMG;
Luca Perricelli – Avvocato
La ricerca a livello mondiale ha sviluppato una serie di vaccini che dovrebbero costituire lo strumento cardine in grado di interrompere o quantomeno rallentare significativamente la trasmissione del SARS-CoV-2.
ISTRUZIONE
La libertà è partecipazione: il coinvolgimento degli studenti nel processo formativo ai tempi della DAD
Chiarina Macrina – Docente di discipline letterarie e latino
È facile in uno stato di natura muoversi liberamente, se per libertà intendiamo quella condizione che permette al singolo individuo di esprimersi e agire in uno spazio aperto senza costrizioni.
SPORT
La danza, libertà di movimento, quale volano di espressione o strumento per gestire e superare malessere e disagi
Francesco De Nardo – Presidente Provinciale CSEN CATANZARO
Ormai da molto tempo, allo sport si tende a conferire una valenza pedagogica particolare, capace di trasmettere valori educativi molto importanti. Fare sport è la miglior medicina. Fa bene al corpo, alla mente e allo spirito.
La parola agli ospiti
Alla ricerca di una vita migliore
Vengo dalla Romania ed ho una famiglia, mi manca molto ma purtroppo, a causa dei problemi economici, devo per un periodo anche lungo allontanarmi dalla mia terra natale e venire qui in Italia, dove la gente è buona e caritatevole, e dove veniamo trattati anche bene, tranne qualche volta, ma tutto il mondo è paese. Ormai è da molti anni che vengo qui da voi, ci sto per un periodo, guadagno qualche soldo e acquisto della roba da inviare ai miei e poi torno indietro. Quest’anno sono arrivato in Italia in Gennaio insieme a tre miei amici, che per me sono come fratelli; essendo loro meno esperti e non sapendo parlare bene l’Italiano cerco di aiutarli in ogni modo. Dopo quasi un mese e mezzo di vita da senza tetto, siamo arrivati qui nella struttura dormitorio dell’Oasi, che ha aperto apposta per dare un letto e un pasto in un periodo di grande freddo: ormai siamo qui da tre settimane e devo dire che ci stiamo trovando molto bene, ricevendo attenzione da parte degli operatori, cibo caldo e avendo dove dormire, molto diverso dallo stare sempre in strada. Purtroppo la mia condizione e quella dei miei amici non ci permette di affittare una casa o altro; veniamo in Italia appunto per racimolare qualcosa da inviare direttamente alle nostre famiglie, ma, nonostante tu in strada puoi conoscere molta gente, non è la vita che vorrei fare, e penso che sia la stessa opinione dei miei compagni di viaggio, soprattutto ora che ormai da un anno e mezzo siamo in emergenza pandemica: le restrizioni e le leggi dei vari paesi limitano molto lo stare per strada, figurati che noi, che facciamo parte come voi italiani della comunità europea, prima di varcare il confine abbiamo dovuto presentare il passaporto covid per poter entrare! Penso che la pandemia abbia cambiato molto le nostre vite in tutti i sensi limitando di molto i nostri movimenti e non lo trovo molto giusto, nonostante capisca che per evitare una strage qualche cosa bisognava farla, ma se prendi ad esempio uno come me che viaggia molto e fa molti chilometri per poter guadagnare qualcosa e dare da mangiare alla famiglia, trovo tutto ciò una grande limitazione al mio operato. Proprio per questo, poter essere accolto presso di voi, l’ho trovata una grande occasione per potermi sentire uomo, con diritti e libertà di poter essere tranquillo e dire che nonostante tutto, nonostante la lontananza e le limitazioni, ci sono ancora persone buone e con cuore. Eppure la mia volontà non è quella di rimanere ancora a lungo; mi sono prefisso che raggiunto il mio obiettivo, ovvero raggiungere una certa quota, tornerò in Romania dalla mia famiglia, non vedo l’ora di rivederli e riabbracciarli.
In cucina con gli ospiti
Pollo o agnello Kurma
Questa ricetta a base di pollo o agnello, anche se non rappresenta quella canonica, è molto importante per noi bengalesi perché è quella che ci è stata tramandata dalle nostre nonne. Questo piatto che stiamo per raccontarvi ha il nome di Kurma o Korma, ed è un piatto molto caratteristico in tutto il continente asiatico perché i migliori ingredienti, a nostro dire, sono: il lavoro, l’amore e la passione ma anche l’aggiunta di un pizzico di magia. Durante la dinastia Mughul gli originali piatti erano molto più blandi rispetto a quelli odierni che si presentano più ricchi di ingredienti. Questo perché i popoli asiatici durante l’età imperiale erano nomadi pertanto la loro cucina doveva essere adattata a quello stile di vita. Dobbiamo ricordare, infatti, che il piatto Kurma necessita di molto tempo per la cottura. Il Kurma moderno è una fusione di piatti di origine indiana e persiana. In India, ad esempio, i piatti si caratterizzano per un maggiore utilizzo di olio e spezie in particolare il peperoncino. Originariamente il peperoncino non era previsto, ma a partire dal XVIII secolo cominciò a diffondersi anche alla corte di Delhi portato dai Marathi, abitanti della regione occidentale dell’India chiamata Maharashtra. A Lucknow, i cuochi cominciarono ad aggiungere anche la panna, per rendere la pietanza ancora più piacevole per il palato. Proprio a Lucknow si narra una storia ambientata in un tempo in cui la città si chiamava ancora Oudh ed era governata da un vice re, Waji Ali Sha, di fatto l’ultimo vice re di Oudh. Questi invitò a cena Mirza Asman Qadar, un raffinato principe di Delhi, noto per apprezzare e conoscere il cibo. Sul dastar khwan, un pezzo di tessuto o di pelle di forma circolare posta direttamente sul pavimento, che fungeva al tempo stesso da tavola e da tovaglia, furono posti diverse preparazioni tra cui quella che agli occhi del principe appariva come una conserva di verdure chiamata murrabba. Questo avvenimento destò la sua sorpresa, e il suo imbarazzo, scoprendo solo dopo la degustazione, che si trattava di un quarama, o per usare un’altra espressione di un korma di agnello. Waji Ali Sha fu estremamente lieto di essere riuscito a prendersi gioco di un palato regale e così sopraffino. Dopo pochi giorni Mirza Asman Qadar restituì l’invito. Waji Ali Sha presagì che certamente il principe avrebbe cercato di trarlo in inganno, ma nonostante l’intuizione, questi fu sconfitto dalla bravura del cuoco. In questa occasione, infatti, sul dastar khwan furono poste decine di cibi: pulau, zarda, korma, kababs, biryani, chapatis, chutneys, achars e parathas, non mancava nessuna preparazione e tutte avevano un aspetto irresistibile. Eppure come verificò sgomento il vice re erano tutte sculture di zucchero, plasmate ad arte dal cuoco del principe. Il korma era di zucchero, il curry era di zucchero, anche il pane e i chutney; si sarebbe detto che anche i piatti e le ciotole fossero di zucchero. Wajid Ali Shah provò ogni piatto, tra lo sconcerto e l’imbarazzo. Il principe aveva vinto. Questa storia vuole essere un affresco sulla raffinatezza e la ricercatezza della cucina indiana e asiatica di ispirazione Moghul, che anche oggi possiamo apprezzare.
La ricetta può inoltre essere adeguata per realizzare un piatto vegetariano usando dei derivati della soya come il tofu o il seitan, che non sono certamente indiani ma possono fornire un’alternativa per coloro che per scelta o necessità rinunciano alla carne ma vogliono gustare un ottimo korma. Tuttavia il piatto che oggi maggiormente si consuma in Bangladesh è stato perfezionato e ulteriormente adattato ai nostri gusti. Un esempio che ci piace fare è quello della versione iraniana che ci risulta essere molto insipido. In Bangladesh questo piatto viene preparato e consumato nelle grandi occasioni come le feste comunitarie e i matrimoni. Un metodo di preparazione che ci piace fare è quello tradizionale che prevede che il pollo venga brasato in olio, yogurt e spezie e successivamente cotto finchè diventa tenero e gustoso. Questo procedimento fu introdotto dai cuochi provenienti dalla Persia, che conoscevano la tecnica da tempo immemorabile. Per le occasioni più importanti vengono aggiunti gli anacardi sbollentati e finemente macinati.
Ingredienti secondo la variante bengalese:
- Pollo o agnello a pezzi
- Latte o panna
- mandorle
- olio o burro (Ghee)
- cipolla o scalogno
- foglie di alloro
- cannella
- cardamomo
- zenzero
- aglio
- sale
- pepe verde
- cumino
- peperoncino
- pepe nero
Preparazione.
Incidete la carne praticando dei tagli profondi ma stretti con un coltello appuntito. Frullate insieme l’aglio, lo zenzero, una cipolla e le mandorle. Mescolate questo trito con lo yogurt e unite il sale e la garam masala (mistura di spezie). Ponete i petti di pollo in una terrina e conditeli con la marinata, copriteli e riponete al fresco per 4 ore. Fate scaldare 30 g di burro o olio in una pentola capiente e aggiungete la cipolla affettata. Fate cuocere a fuoco moderato per circa 25 minuti in modo che le fettine siano caramellate e assumano un colore dorato. Rimuovetele e tenetele da parte cercando di lasciare il grasso nella pentola. Macinate cumino, semi di senape e curcuma. Aggiungete il resto del burro o dell’olio. Ponete i petti di pollo nella pentola. Quando sono ben rosolati, occorreranno 5-7 minuti, unite 150 ml di acqua, le cipolle caramellate e gli aromi, mescolate con cura e fate cuocere a fuoco medio per 20 minuti. Aggiungete la panna o il latte e cuocete per altri 15 minuti. Unite ancora 100 ml di acqua e fate cuocere per 10 minuti. A questo punto aggiungete il cardamomo, solo i semini interni, il pepe nero macinato e le foglie di alloro spezzettate. Fate cuocere ancora per 15-20 minuti e comunque fino a quando la carne si presenta piuttosto tenera.
Pensieri al tempo del covid
L’esperienza del Covid, ancora non totalmente conclusa, ha naturalmente interessato anche Fondazione Città Solidale, sia in quanto Organizzazione (che ha dovuto fronteggiare l’emergenza nell’emergenza), sia in quanto persone, ciascuna con il suo ruolo, le sue responsabilità, la sua sensibilità. Molti in questo periodo hanno scritto, per fare memoria, per ritrovare un ordine ed un senso, per appuntare e trasmettere emozioni e riflessioni utili a sé stessi ed agli altri. Lo hanno fatto anche i componenti di Città Solidale: operatori, ospiti, il Presidente… E’ stato racchiuso tutto in questa raccolta che potete ricevere subito chiamando il n. 3519661212.
*Il contributo sarà devoluto ad iniziative legate al covid 19