Seleziona una pagina

Gli ultimi due anni hanno lacerato le nostre esistenze e hanno modificato la percezione della realtà. L’esplosione della pandemia da Covid-19 ha letteralmente cambiato il nostro stile di vita, ha rinchiuso gli uomini nelle proprie solitudini e ha scoperto tutte le nostre paure. L’interruzione delle relazioni sociali, la distanza dagli affetti, lo stravolgimento assoluto della quotidianità e soprattutto l’incontro ravvicinato con la morte hanno imposto qualche riflessione sull’incoscienza dell’uomo e sulla sua incapacità di leggere il presente e proiettarsi verso il futuro.

Forse si è compreso che la logica perversa del mercato e l’imposizione globale di un modello economicistico ha prodotto soltanto l’illusione di un progresso inarrestabile ed infinito e la presunzione di poter dominare il mondo. Si è persa, cioè, la consapevolezza della finitezza dell’uomo, ma anche della necessità di dialogare con la natura. E così sono stati disattesi i segnali provenienti dai continui imprevisti fenomeni naturali e per decenni sono stati sottovalutati gli effetti dei mutamenti climatici e la progressiva distruzione dell’ambiente. Tutto in nome degli interessi dell’economia mondiale e del malinteso benessere degli individui. Dimenticando che in un mondo globalizzato all’arricchimento sempre più esteso di qualcuno corrisponde l’impoverimento maggiore di qualche altro e che l’aumento della forza e della potenza di una parte dell’universo coincide con l’aggravarsi della debolezza dell’altra.

La contrapposizione tra Stati forti e Stati deboli, lo sfruttamento maggiormente accentuato delle popolazioni meno sviluppate e le disuguaglianze sociali, con la dilatazione della povertà e dell’emarginazione, sono stati ritenuti effetti collaterali inevitabili di un “villaggio globale delle meraviglie”, in cui i singoli potevano esplorare gli incantesimi della tecnologia e sperimentare liberamente e illimitatamente la vena consumistica compulsiva.

Negli spazi dei “non-luoghi”, dominati dal “non-tempo”, si è, però, andato frantumando il senso di umanità, bruciato sull’altare dell’utile e dell’economico. Al punto da considerare il disagio e la diversità una colpa, per non dire un fastidio, per l’ordinata vita della comunità. La pietà e la compassione per i profughi della terra si sono disperse nell’aria e le nostre coscienze si sono gradualmente assuefatte allo spettacolo della morte nelle acque del Mediterraneo. L’importante sembrava essere diventata la velocità di circolazione delle cose, degli uomini come delle merci e dei capitali, possibilmente senza intaccare il tranquillo godimento del progresso del mondo occidentale. Un mondo che si è cullato sull’illusione, e la presunzione, di poter fronteggiare l’avanzata di virus sempre più aggressivi con anticorpi idonei ad una ipotetica, generale, immunizzazione. In altri termini, fino a quando i problemi hanno toccato specifiche categorie di soggetti o aree geografiche depresse o marginali, non si è avvertito il bisogno di intervenire drasticamente e l’inveterata logica del mercato ha finito per prevalere.

Ma la superficialità, l’insipienza e l’arroganza perseguite nel tempo si sono palesate all’improvviso e hanno mostrato la nostra assoluta vulnerabilità, imponendoci di abbandonare il comodo rifugio di un consolidato egoismo per riscoprire il senso della comunità, attraverso un percorso virtuoso ispirato alla solidarietà e alla cura di sé come presupposto indispensabile per la cura degli altri. La salute collettiva, e il ritorno alla “normalità”, si realizza solamente nella combinazione tra la responsabilità personale e la fiducia negli altri.

Si pensava che tutto questo fosse stato ben compreso e potesse condurre ad una sterzata nel modo di concepire l’essenza della vita individuale e i valori della comunità globale. Ed invece, nel momento in cui il pericolo pandemico si è andato attenuando, ecco rispuntare l’irresponsabilità del potere. Le ambizioni dei singoli, gli interessi geopolitici, i vaniloqui legati agli assetti strategici internazionali sono scoppiati inarrestabili. E l’unità solidale emersa nella guerra mondiale contro il nemico comune invisibile prodotto dalla natura si è dileguata in una frazione di secondo davanti alle miserie di appetiti e rivendicazioni con il viso distorto del male.

Le scelte barbare di chi ha adottato la guerra come strumento politico necessitano di un intervento globale per la realizzazione di una pace immediata, senza tattiche attendiste o controffensive punitive dilatorie. Perché ancora una volta si dimentica che le ricadute delle azioni belliche colpiscono sempre e comunque esseri umani inermi e incolpevoli. E dalle nebbie irreali dei fuochi e delle macerie riappare nitido il volto reale della disumanità

prof. Scerbo Alberto – Docente Ordinario di Filosofia del Diritto UMG

 

Scopri di più sul Mosaico e su

Fondazione Città Solidale Onlus

Visita il nostro sito www.fondazionecittasolidale.it

Vai