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Pellegrini di Speranza, è questo il tema del Giubileo iniziato la vigilia di Natale. Dopo l’anno della fede celebrato da Benedetto XVI (2012/2013) ed il Giubileo della misericordia (2015/2016) su iniziativa di papa Francesco, mancava l’altra virtù teologale, appunto la speranza. Ma il motivo di tale scelta nasceva più da un‘ urgenza avvertita dopo il complicato e difficile periodo della pandemia 19 e da altre situazioni complesse che affliggono il nostro mondo e, dunque, l’umanità da alcuni anni a questa parte. Situazioni tutte che hanno evidenziato la percezione che l’uomo è essere fragile, che può però reagire al male in forma solidale se lo vuole, ma che può anche potentemente cadere vittima dello scoraggiamento. Di qui, forse, la decisione di Francesco di porre al centro la speranza.


«Tutti sperano», scrive Francesco all’inizio della Bolla Spes non confundit. Tutti sperano, ma i cristiani e l’umanità in generale sono tentati da scetticismo e pessimismo, cioè dal pensare che nulla potrà offrirci felicità. Il papa indica allora il Giubileo come un’occasione opportuna proprio perché la speranza, che è desiderio e attesa del bene, non si dà solo quando tutto va bene. L’annuncio di salvezza consiste nel confermare questa capacità della speranza di creare cambiamento, situazioni nuove, germi di bene … e nel far risuonare la Parola: «la speranza non delude» (Rm 5,5)! E la ragione dello sperare cristiano è nell’azione di Dio che non ha posto condizioni alla nostra salvezza e la rinnova: la speranza si fonda sulla fede ed è nutrita dalle opere di amore.

Sperare deve essere per tutti noi anzitutto una resistenza al male, che Francesco legge nella forma delicata della virtù di pazienza. Si tratta di una forma di speranza particolare rispetto al contesto che il mondo sta vivendo. Il mondo dei consumi, infatti, accelera il tempo, vorrebbe tradurre ogni atto nel tutto e subito, vive in fretta e mette in fuga la calma, ricevendo in cambio tensioni, conflitti, violenza gratuita, insoddisfazione e chiusura, addirittura guerre. Il papa ci suggerisce allora un itinerario che ci aiuti a mettere in pratica, esercitare la virtù della speranza, per sottrarci alla sfiducia, allo scoraggiamento e persino alla paura, ecco allora alcuni segni di speranza che dobbiamo coltivare e mettere in campo: coltivare il sogno della pace, che dobbiamo tradurre in realtà, con l’aiuto della preghiera (la Pace è un dono, che dobbiamo chiedere con insistenza, ‘senza stancarci mai’); il desiderio di fecondità (siamo chiamati come singoli e come comunità a far germogliare i semi di speranza, a ‘produrre’ frutti di bene, di giustizia, di fraternità universale …); la volontà di reinserire chi si è perso (andare alla ricerca dei fratelli e delle sorelle che hanno smarrito la via, che sono stati delusi, feriti, posti ai margini …); il risvegliare gratitudine per quanto di buono e di bello il Signore continua a donarci (evitando il grosso errore di vedere ‘tutto nero’ e cadere, così, nello scoramento); l’aiutare l’entusiasmo dei piccoli e dei ragazzi (perché guardino al presente ed al futuro come un insieme di opportunità belle, per crescere e realizzarsi); il permesso di un futuro migliore aperto a poveri, esuli, profughi e rifugiati (perché nessuno abbia la sensazione di essere finito, senza un domani); il rafforzare una cultura di prossimità agli ammalati, agli anziani, alle persone sole e senza speranza (dare seguito ai sogni degli anziani, fare tesoro della loro esperienza e sapienza, valorizzare la loro storia, far sentire loro di essere amati e necessari); le enormi risorse del mondo ridistribuite per dar speranza ai miliardi di poveri (costruire progetti finalizzati a costruire equità e giustizia, a combattere la fame nel mondo …). Sembra un progetto grandioso e forse anche di difficile realizzazione ma, con l’impegno e l’aiuto di tutti, si può fare molto. In tutto questo ed altro ancora, la Chiesa è chiamata a un atto di fede molto esplicito, non è tratta fuori dal mondo ma profondamente inserita nella storia degli uomini; essa ha, infatti, un ruolo fondamentale, non solo sussidiario ma addirittura primario, per mandato missionario del suo Signore.
Perché la pastorale nell’anno giubilare non si risolva nel preparare e organizzare pellegrinaggi a Roma o liturgie solenni nelle chiese giubilari e nelle Cattedrali, sarà necessario cogliere con coraggio la sfida che l’Anno Giubilare ci consegna, a partire da un’azione pastorale, da una formazione e da una educazione (catechesi, predicazione, incontri, confronti, riflessioni …) da realizzarsi in ogni campo, a partire dalla famiglia, nelle parrocchie, nel sociale, nelle scuole, nei diversi luoghi di vita. La bolla di indizione del Giubileo indica chiaramente la Lettera ai Romani come testo-sorgente per l’annuncio. Il tema della Speranza è capace di diventare un primo annuncio e una rilettura esistenziale molto preziosa che, partendo proprio dal Vangelo, deve poi estendersi ed essere approfondito e sviluppato anche in altre sfere ed ambiti.
Il Giubileo vuole essere soprattutto un cammino interiore, un ‘tempo’ per rivolgere il nostro sguardo alla nostra interiorità, prenderci cura della nostra vita spirituale, e questo a livello personale ed anche come comunità ecclesiali. E tutto finalizzato ad operare un cambiamento, nella mia vita e nelle nostre realtà comunitarie e sociali. Come realizzarlo? Una domanda che possiamo rivolgere a noi stessi è: “Quale segno di speranza lo Spirito mi chiede di scegliere nella mia vita e quale chiede a noi, nel nostro territorio, come comunità cristiana?” È importante che ci siano buone intenzioni, buoni propositi e promesse ma tutto si deve poi tradurre in segni ed opere concrete, tangibili! L’occasione e il tema del Giubileo si prestano con grande profondità al lavoro di revisione della nostra vita e a quello pastorale delle nostre comunità, per rinnovare il senso della nostra presenza, forse più sobria e finalmente umile ed efficace, nel territorio.

Padre Piero Puglisi – Presidente Fondazione Città Solidale

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