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Non è facile affrontare un tema del genere. Sono tempi molto difficili a livello europeo e tocca a noi amministratori far sentire la nostra voce. Stiamo camminando su un terreno minato. Se non proviamo ad invertire la rotta, chiunque sarà a Palazzo Chigi, chiunque al Viminale avrà estremi e profondi problemi a gestire un fenomeno del genere.

Proviamo a partire dall’inizio.

In questo momento storico, noi abbiamo le nostre città regolate da una legge vecchia, antica, superata che non ha più motivo di esistere semplicemente perché nel 2024, in un settore così strategico, essere governati da una norma del 2002, ormai superata, crea estremi e diffusi problemi. Nel corso del tempo con questa norma sull’organizzazione del sistema di accoglienza, ex Sprar ora Sai, ma anche i centri di accoglienza Cas e le prefetture, sono stati aggrediti da riforme, controriforme con modifiche più o meno sostanziali che hanno completamente ribaltato l’impianto iniziale da cui siamo partiti per costruire il sistema dell’accoglienza.

Funziona tutto questo? No, evidentemente no.

Nel senso che il sistema di accoglienza funziona finché non ci sono problemi e dunque significa che non funziona, perché tecnicamente gli sbarchi, gli arrivi da nord est, le guerre, le carestie tendono a spingere fuori gente dai propri confini e ad aggredire i confini del paese italiano. Il che significa che bisognerebbe strutturarsi. Chiariamo bene che con il sistema dell’ANCI noi abbiamo uno storico che da più di 10 anni monitora, controlla gli spazi e da cui sappiamo in grandi linee da dove provengono le persone che arrivano, possiamo sbagliare di qualche decina di migliaia di persone, ma non è questo il punto perché se sappiamo che tendenzialmente arrivano 110/120 mila persone all’anno, basterebbe che a gennaio si organizzasse un sistema di accoglienza e il problema non sarebbe sicuramente risolto ma avremmo una gestione certamente più lineare, più ordinata, più tranquilla. Si sa benissimo che l’accoglienza si basa sulle prime fasi, l’accoglienza di sbarco, quella straordinaria per poi avere centri di seconda accoglienza per percorsi di cittadinanza. La cittadinanza si fa attraverso una progettualità, attraverso il Comune con realtà che o si chiamano Sprar o si chiamano Sai, è importante che siano progetti strutturati che riescano a dare al territorio delle risposte che il territorio domanda. Perché se io prendo un ragazzo che viene dal Gambia o dal Pakistan e riesco ad inserirlo, contestualizzarlo dentro Catanzaro, Roma, Torino, gli insegno la lingua, lo formo, lo mando a scuola, gli insegno un lavoro anche in base alla richiesta del mercato, lo formo contestualizzando il percorso di formazione e dopo un anno, due magari trova lavoro, o mal che vada conosce la città, la conosce dall’interno e chiede di essere accompagnato nel suo essere cittadino di Prato, di Catanzaro. Per cui di cosa c’è bisogno: in primis di una riforma legislativa chiara, che parli esattamente questa lingua, che ci dica esattamente quello di cui abbiamo bisogno rispetto alla costruzione di una rete di persone e di associazioni che riesca a mantenere la primissima accoglienza e la seconda accoglienza. Poi c’è bisogno di personale formato, di personale qualificato, di società ed associazioni serie, non possiamo affidarci agli stregoni dell’improvvisazione che mettono in difficoltà tutti quanti noi, rendendo difficile l’accoglienza delle persone. Noi con ANCI stiamo studiando una modalità per riconoscere il personale qualificato che riesca a dare delle risposte serie, costruite su chi effettivamente arriva sul nostro territorio e per mettere in sicurezza i territori che accolgono. Questa è la vera e grande sfida. E poi ci vogliono le risorse perché queste persone vanno pagate e vanno pagate bene. Inoltre, ci vogliono strutture dedicate, strutture piccole, diffuse sul territorio. Ci vogliono le risorse per pagare il consulente, il mediatore culturale, lo psicologo, l’insegnante di italiano, ci vogliono tutte queste competenze che vanno riconosciute e pagate, che ci servono per costruire questa rete di protezione per la persona che arriva e che poi consente di avere le condizioni di partenza per creare cittadini e non semplicemente persone di passaggio. Questo è il contesto della sfida e cosa bisogna fare, bisogna costruire la santa alleanza e c’è un modello, la legge Zampa 47/2017 sui Minori Stranieri non accompagnati, che non è realmente mai stata applicata, ma che contiene in sé tutti gli elementi per la gestione dei MSNA, circa 25.000 persone che ci creano un po’ di difficoltà, quando basterebbe organizzarsi per dimostrare che si può gestire bene questo fenomeno senza fare troppa confusione.

La legge Zampa è stata scritta di concerto con le grandi associazioni che si occupano dell’accoglienza dei minori Unicef, Save the Children e abbiamo costruito insieme ai comuni un percorso, insieme al terzo settore, il sistema di accoglienza e adesso, nonostante i vari governi di destra e di sinistra potremmo avere un sistema di accoglienza eccellente per MSNA. Lo stesso bisogna fare per gli adulti, mettersi in rete con il terzo settore, il grande sistema dell’accoglienza, i grandi operatori, i professionisti dell’accoglienza, persone che sanno fare bene questo mestiere. Riscrivere insieme le regole del gioco che valgono per tutti per i governi di centro destra, di centro sinistra, ma valgono soprattutto per le città che accolgono. In tutto questo bisogna considerare che queste persone non vivono nell’iperuranio, non si trovano su Marte, queste persone stanno nelle nostre città, vivono nelle nostre strade, vivono a Catanzaro come a Prato.

E dunque cosa vogliamo fare? Vogliamo far finta che siano fantasmi? Che magari se sono irregolari sul territorio, si rischia anche la sanzione della Corte dei Conti oppure si necessita degli strumenti che ci consentono di fare di quella persona un cittadino di Catanzaro, di Prato, Milano, di Roma e magari in un paio d’anni avere la forza di camminare sulle proprie gambe. Questa è la sfida più importante. Facciamo un esempio. Stiamo vivendo nel tempo, ciò che molto semplicisticamente chiamiamo il modello Barcellona, dove se una persona presente sul territorio straniero, può dimostrare di avere un contratto di lavoro regolare, e il datore di lavoro gli assicura che quel contratto verrà rispettato, può rapidamente modificare il titolo. Ciò è assolutamente proibito, e questo secondo me, è una sciocchezza. Perché se una persona lavora e se il posto di lavoro gli garantisce un salario, ha già compiuto il primo passo, forse quello più importante per un minimo di contestualizzazione e di cittadinanza.

Perché non lo possiamo fare anche noi? Perché è un modello che potrebbe funzionare bene. Perché non riusciamo a costruire un percorso che tolga dai CAS, dai centri di accoglienza straordinaria per due anni, persone che aspettano li, in attesa di sapere se possono o no stare sul nostro territorio, e anche se nella maggior parte dei casi non viene riconosciuto il permesso di soggiorno, restano lì, quindi nelle nostre strade, e non riusciamo ne a rimpatriarli ne ad allontanarli dal territorio? Il sistema dei rimpatri è un sistema che non funziona, è stato un flop clamoroso, anche i rimpatri assistiti non hanno numeri tali da mostrarci che il sistema funziona. Anche questo dovrebbe guidarci verso un ragionamento perché tenere una persona in un CAS per due anni, dopo la riforma per cui non è previsto l’insegnamento della lingua, l’assistenza legale, figure che servivano per dare una primissima risposta, veramente rischiamo di creare fantasmi e mettere in difficoltà i nostri servizi sociali e le nostre città. Insomma i fattori sono questi. Che cosa si può fare? Costruire reti e opinioni pima ancora che politiche, opinioni che chiedano a gran voce a qualsiasi governo, di vivere la legge coinvolgendo i comuni e il terzo settore. Noi abbiamo le idee chiare, sappiamo perfettamente quello che serve. Il tavolo di coordinamento al Ministero, presieduto dal Ministero degli Interni a cui partecipano per l’appunto gli enti del terzo settore e i Comuni italiani ha presentato una serie di proposte nel corso del tempo, che prese in considerazione alcune normative potrebbero in qualche modo, non voglio dire risolvere completamente, ma dare un approccio nuovo ed efficace al sistema degli sbarchi, senza fossilizzarci solo sugli sbarchi perchè ci sono migliaia e centinaia di migliaia di persone che sono proprio sul nostro territorio e che arrivano in altro modo nel nostro paese, a cui dobbiamo dare delle risposte, dei quali i bambini vanno a scuola i nostri, i ragazzi frequentano le Università.

Anche su questo bisogna fare una riflessione e per esempio nel testo unico sull’immigrazione, bisogna fare una riflessione sulla cittadinanza, perché anche su questo non funziona la situazione e non va bene perché crea ancora una volta distanza tra i cittadini e il territorio. Le cose da fare noi ce l’abbiamo. E’ un grande tema ed è incandescente.

Parlare di immigrazione non è facile, ma è un pezzo di futuro del nostro paese. Questa è la sfida. Abbiamo davanti e dobbiamo mantenere alta l’attenzione, esattamente in momenti come questo, e chiedere a gran voce ai governi, di sedersi e fare riforme sulla migrazione per trasformare tutti i livelli per qualsiasi persona e per gli operatori. Questo diventa un impegno fondamentale per tutti.

Avv. Matteo Biffoni – Sindaco di Prato e Delegato ANCI all’Immigrazione e Politiche dell’Integrazione

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