Il mio intervento fa riferimento soprattutto a un documento, la Carta di Siena la carta di Siena. L’abbiamo realizzata con tutte le Migrantes della Toscana, 10 anni fa, ritenendo che la città è il luogo più importante forse attorno al quale costruire politica, visto che la città politica nasce da Polis, città in greco, e prendendo come principio, il principio della realtà cioè leggiamo concretamente qual è la situazione della migrazione in Italia. Un primo aspetto importante, però, che abbiamo fatto in questa Carta di Siena è rileggere la nostra storia sociale dal dopoguerra. Dal dopoguerra, tutte le leggi sociali, se andate a vedere, sono state leggi che hanno riportato in città dei soggetti che erano fuori città. La legge Merlin ha riportato in città le prostitute, 20.000 donne che erano nelle case chiuse, le abbiamo accolte tutte nelle nostre strutture ecclesiali, nella Casa del Giovane. Queste donne sono diventate madri di famiglia, sono diventate insegnanti, 65 sono entrate in monasteri di clausura. ho studiato particolarmente tutti i profili di queste donne ed è stata un’esperienza straordinaria che ha visto l’associazionismo Cattolico tutto unito per dare casa, nella città, a queste 20.000 donne che non vedevano il sole.
Successivamente la nostra storia sociale ha riportato in città, sotto certi aspetti, sempre grazie alla Merlin una socialista cattolica, insieme ad altre donne democristiane, i bambini, figli naturali perché è stata tolta dalla carta d’identità la famosa dicitura NN. Un percorso che si è concluso alla fine del 99. Abbiamo riportato in città con la legge del 75, la legge Gozzini, i detenuti attraverso l’esperienza dell’alternativa di pena, un’esperienza importante perché la Costituzione ci diceva che il carcere doveva essere rieducativo, ma non rieduchi tenendo in cella una persona. Questa storia ha fatto sì che oggi abbiamo 100.000 persone in alternativa di pena. Un altro elemento importante per far tornare in città, dentro la città, soggetti che erano fuori è stata la legge Basaglia con cui abbiamo riportato in città, a fatica in 20 anni, le persone che avevano un disagio mentale, con la chiusura di manicomi. Sono ancora aperti solo i manicomi criminali. Ecco quindi, abbiamo riportato e dato dignità a queste persone attraverso case famiglia. Purtroppo questa storia di riportare in città le persone è conclusa quando sono arrivati i migranti. I migranti li portiamo fuori dalla città, li portiamo fuori dalla città attraverso i centri che furono creati con lo scandalo che è avvenuto in Sicilia, in Calabria, a nord etc. Li portiamo fuori città perché deve essere fuori città, con i CPR che adesso vogliono ricostituire in ogni regione, un carcere, un lager a cielo aperto. Li ho visitati tutti e non è detto che non ne facciano uno anche a Catanzaro. Adesso fra qualche giorno, il Ministro dell’Interno dovrebbe dire quali sono i luoghi scelti. Abbiamo la paura che un luogo sia anche la mia città di Ferrara o perlomeno il territorio. Quindi quando c’è stato di parlare di immigrazione, il discorso di riportare in città è stato un discorso trascurato. Non solo abbiamo aumentato a 10 anni, nel 92, gli anni per ottenere la cittadinanza che fino al 92 erano 5 anni. Questo per non permettere che le persone entrassero in città, che diventassero cittadini prima del tempo. Certamente questo è un percorso che non è un percorso inclusivo; è un percorso che rende difficile la vita della città e l’incontro nella città.
Questo incontro poi in città è cresciuto, perché in questi 40 anni sono arrivati sostanzialmente 5 milioni e 50.000 persone nelle nostre città, di 200 nazionalità diverse. A Catanzaro ce ne sono 80 di nazionalità. 5 milioni e mezzo di persone, però questi 5 milioni e mezzo di persone negli ultimi 10 anni sono rimasti sostanzialmente lo stesso numero. Siamo cresciuti solo di 50.000 persone. Quindi in 10 anni l’immigrazione si è fermata, mentre in questi dieci anni un milione e mezzo di cittadini italiani sono andati all’estero. La vera emergenza di questi dieci anni non è l’immigrazione ma è l’emigrazione e la vera emergenza è che l’Italia non è più un paese attrattivo e questo è un aspetto fondamentale. Le nostre città se non sono attrattive, rischiano con i numeri che avete, 1050 morti e 530 nati a Catanzaro, cioè il doppio dei morti rispetto ai nati, a Ferrara sono quattro volte tanti i morti rispetto ai nati, le nostre città hanno, se non si crea una cultura dell’incontro, la morte come destinazione. Cioè i ruderi di Pompei saranno i ruderi di Ferrara e i ruderi di Catanzaro.
La città deve vivere e per vivere ha bisogno di fare incontrare le persone; le leggi servono per fare incontrare le persone. Noi abbiamo una legge che regola la migrazione cosiddetta economica perché, anche qui alcune volte, facciamo confusione. La migrazione dei lavoratori, degli studenti, di religiosi, degli sportivi etc. è regolata da una legge italiana. La legislazione che riguarda i richiedenti asilo rifugiati non è regolata da una legge italiana, ma è regolata da una legge europea. Noi abbiamo rinunciato la sovranità su questi aspetti. Quindi il mondo degli immigrati, che è 5 milioni di persone, è compito della legislazione italiana a governarli e non li sta governando. Il mondo dei richiedenti asilo e rifugiati è compito dell’Europa. 350.000 tra richiedenti asilo e rifugiati che sono in Italia, il penultimo paese di accoglienza in Europa, appena prima della Romania rispetto agli abitanti, i 350.000 sono regolati da una legislazione che ultimamente è stata modificata grazie al patto per la Migrazione Europea. Ecco per quanto riguarda gli immigrati la carta di Siena che cosa suggeriva.
Anzitutto di rivedere il piano regolatore urbanistico in città e anche il piano regolatore sociale. Perché la città che accoglie se non ha una casa dove una persona possa essere accolta, è chiaro che le persone vivono in luoghi Cas, Centri di accoglienza prima, che non sono luoghi-casa, familiari, ma vivono in luoghi che sono un ammasso di persone, addirittura 3.000,4.000 persone, basta ricordare i centri della Sicilia etc. Quindi da questo punto di vista, un primo problema è la casa. quando arrivarono dal sud a Firenze, i lavoratori che servivano per la pigione, Lapira che cosa fece con l’architetto Michelucci, Lapira un cristiano, Michelucci una persona non credente ma un grande architetto, costruirono un nuovo quartiere. Questo quartiere Lapira e Michelucci come lo organizzarono? Prima di tutto pensarono ai luoghi comuni, la scuola, la chiesa e il giardino, i luoghi di incontro delle persone, i vari Bar, luoghi commerciali etc. con delle case di quattro piani e dopo chiamarono le varie imprese per costruire le case. Quel quartiere si chiamerà l’Isolotto e da lì è nato il 68. Il 68 perché è nato un quartiere in cui l’inclusione è stato uno degli elementi più importanti anche dal punto di vista urbanistico, prima i beni comuni e poi gli altri beni che sono legati, come la casa. In zona raccordo A Roma sono arrivate 100.000 persone. L’80% sono immigrati. Non c’è un bar, non c’è un giardino, non c’è una chiesa, non c’è una scuola, non c’è nulla, con dei palazzi, con appartamenti di 45mq per sfruttare al massimo. E poi ci chiediamo perchè non c’è sicurezza? Prima ci devono essere i beni comuni. Prima ci deve essere l’attenzione a costruire una città in cui ci sia questo aspetto. Con Fanfani abbiamo fatto il piano per le case popolari, nel 50-55, 100.000 case, il primo paese a fare le case popolari per favorire la mobilità delle persone soprattutto dal nord a sud, etc.
Oggi siamo all’ultimo posto per case popolari, siamo rimasti a quelle 100.000 di cui 50.000 sono chiuse perché devono essere sistemate. A Favara su 3.000 abitazioni, 1.000 sono chiuse perché devono essere sistemate. Forse un piano casa, anziché creare dei CAS e spendere una marea di soldi in Albania, forse se questi soldi li avessero messi per ricostruire e sistemare queste case nelle diverse città, in un’accoglienza diffusa su tutto il territorio, forse ci sarebbe stata un’accoglienza migliore. Senza casa, le persone vanno sotto i ponti e qui c’è un fatto grave. in questi giorni cosa succederà, che c’è una circolare dal Ministero dell’Interno che dice che le persone che sono nei CAS, che guadagnano più di €6000, da €6000 in più, devono essere buttate sulla strada perché guadagnano già i soldi e quindi possono trovarsi una collocazione. Voi direte con 6.000€, 500 € al mese, come fanno le persone a trovarsi una casa, potersi mantenere? secondo voi è una cosa intelligente questa? A Ferrara,a giorni, 33 persone saranno buttate sulla strada e così succederà anche a Catanzaro o nelle diverse realtà, migliaia di persone saranno sotto il sole di giugno, di luglio perché questo è ciò che si desidera, perché bisogna far posto per quelli che forse arriveranno quest’anno sulle nostre coste. Quindi da questo punto di vista, credo che il piano urbanistico, cioè ripensare la città attorno alla casa, sia un elemento importante in un luogo di mobilità, perché in un luogo di mobilità uno arriva in una città, la casa diventa un elemento fondamentale non può vivere senza casa e questo aspetto è un aspetto importante .
Un secondo elemento nella nostra realtà è che molti lavoratori immigrati stanno arrivando perché molti comparti lavorativi non hanno più personale e io sono in una città agricola, Ferrara, dove il 96% di lavoratori agricoli sono immigrati, 96% e dove sulle coste, i lidi ferraresi, il 58% di chi lavora al bar sulle spiagge…sono solo lavoratori immigrati. Come si fa a fare una quota di ingresso di lavoratori senza tener presente un’esigenza. Nei giorni scorsi con un click, che è come la piscina di Silos, quello che arriva prima entra. Sono stati assegnati 89.000 stagionali. La richiesta che è stata fatta dal mondo dal comparto lavorativo agricolo e turistico è di 225.000. 150.000 persone prederanno un aereo o altro, arriveranno qui con un permesso turistico, lavoreranno in nero, perderemo tutti i contributi, tutti i soldi fondamentali, saranno sfruttati e quindi anche questo è un altro elemento, non saranno in una situazione di sicurezza, gli incidenti sul lavoro pesano all’ 80% sugli immigrati e quindi, da questo punto di vista, abbiamo chiesto da quindici anni almeno di favorire lo sponsor che era dentro la legge Turco Napolitano e che è stato sospeso dalla Legge Bossi Fini e cioè l’incontro tra la domanda/offerta di lavoro, mettendo anche in questo incontro l’aspetto della casa. Siamo ancora distanti e noi stiamo perdendo soldi e alla fine faremo una sanatoria quando avremo bisogno di soldi, di tassazione, ci prenderemo i nostri 30 milioni di euro perché abbiamo bisogno di un po’ di soldi per la questura, oggi mancano di 6000 persone, quindi permesso di soggiorno sono a tempi di un anno e mezzo. Quindi scade il permesso di un anno e la persona non ha ancora ritirato dalla questura quello sostitutivo.
Ecco questo è quello che accade da noi. Per quanto riguarda i richiedenti asilo, passano anche due anni prima che le persone possano avere un diritto di asilo. Se andiamo su questo discorso del diritto di asilo, la persona che è in CAS, oggi 102.000 persone, se hanno il titolo di asilo dovrebbero passare nel SAI, ma i posti del Sai sono 40.000 la cosa logica sarebbe che a 100.000 posti ne corrispondessero altri 100.00, altrimenti uno esce e va in strada che è quello che succede oggi. Quindi noi tuteliamo il diritto di asilo, mandando la persona sulla strada o sotto i ponti. Da questo punto di vista si capisce che c’è un sistema che non funziona. Abbiamo detto più volte, facciamo un unico sistema, diffuso sul territorio, in cui tutti gli 8.000 comuni, e non soltanto 1.000 comuni, siano interessati a questo sistema con delle risorse che possono sistemare le case popolari, etc. Questo è un desiderio che deve essere ancora sfruttato. L’altro aspetto importante è la scuola. Abbiamo 950.000 bambini a scuola per diverse classi. 25 anni fa si è fatto un bellissimo documento del Ministero della Cultura, sulla scuola interculturale, peccato che questo documento è ancora lettera morta. Un bambino arriva, e con il ricongiungimento familiare non arriva il primo settembre, il primo ottobre, primo novembre, il primo dicembre, il primo gennaio, febbraio, va nella scuola più vicina e gli dicono già le classi sono complete e succede come quella bambina moldava di 7 anni, a Roma, che ha girato 35 scuole e poi, noi della Migrantes, l’abbiamo accompagnata con i carabinieri perché la scuola l’accogliesse. Occorre fare in modo che essendo una città, e siamo riusciti a farlo a Ferrara lo scorso anno, con tutti i provveditori degli studi e direttori didattici ci si prepari già, si sa che ne arrivano mediamente 80, facciamo 80 posti nelle nostre scuole, così quando il bambino arriva ha già un posto che lo accoglie e può così almeno da subito non perdere un anno di scuola come mediamente perde un anno di scuola un bambino straniero. Se poi questo ragazzo straniero che arriva il primo di dicembre, che è di seconda media, non va a scuola in un quartiere di Roma periferico, e resta nel quartiere, entrerà in un percorso chiaramente di delinquenza o altro. Abbiamo suggerito, come in Inghilterra, la sesta classe cioè la classe di ingresso tutta dedicata alla lingua italiana in modo tale che il bambino, poi nell’anno successivo, va nella classe corrispondente alla sua età ma tutto questo è rimasto lettera morta. Nelle città questo aspetto è un aspetto importante, il tema della cittadinanza è stato votato, sono caduti due governi e siamo ancora a 10 anni. E’ giusto che un ragazzo nato in Italia, che ha fatto le scuole in Italia, debba aspettare 18 anni, 4 anni ai tempi di Salvini in più, 2 anni oggi dopo i 18 anni, e se per caso è andato a casa una volta perché magari era morta la nonna c’è stato un interruzione si ricomincia da capo? Ecco è giusto che questi debbono aspettare così tanto per la cittadinanza e noi l’anno scorso abbiamo dato 40.000 cittadinanze a chi non verrà mai in Italia? Sono i nostri figli di trisnonni che sono stati in Argentina, in Brasile che hanno preso la cittadinanza per andare in Portogallo o in Spagna, non per venire in Italia perché con la cittadinanza si può viaggiare nel contesto europeo e non verranno mai. Era giusto, un tempo lo ius sanguinis, quando c’era il desiderio che le persone ritornassero in Italia per un percorso importante. Il tema sanitario.
Sapete che la persona che arriva in Italia può avere delle tutele sanitarie, uno strumento che permette di andare al pronto soccorso e avere le prime cure, il problema che se poi gli danno la cura deve andare a comprarsi la cura in farmacia e vengono agli ambulatori della Caritas, 160 ambulatori in giro per l’Italia, per fare tutto questo e poi una malattia psichiatrica va in strada perché il percorso psichiatrico non è per le persone migranti ma solo per i cittadini italiani. Quindi anche questo aspetto è un altro aspetto grave. Tra i 60.000 barboni senza fissa dimora che ci sono in Italia, ci sono 3.600 persone che hanno un grave squilibrio psichiatrico che sono sulla strada perché nessuno li ha accolti. C’è poi il tema religioso. Perché le 5 milioni di persone che sono arrivati in Italia hanno una religione diversa, 1.000.000 sono cattolici, 1.500.000 ortodossi,1.500.000 islamici 100.000 buddisti, 150.000 induisti, 500.000 atei soprattutto dalla Cina, dell’Albania. Noi abbiamo ancora una legge sulla tutela delle religioni che è del ‘39 del tempo del fascio, e quindi nessuna moschea può essere costruita in centro città, vicino alla chiesa ci si può costruire una sala bingo, dove ci mangiano fuori tutti i soldi, ma non si può costruire un luogo dove le persone possono pregare anche con un’altra fede. Tutte queste cose ci indicano che le nostre città si rivedano, si ripensino, c’è un numero di città che hanno costruito un rapporto e un legame di studio e di politica culturale su questo sociale, questo ispirarsi alla Carta di Siena sia un aspetto importante perchè il futuro del nostro paese è l’incontro, incontro che per fortuna sta avvenendo non come invasione, non con la violenza e la guerra come è avvenuto in passato, ma sta avvenendo e chiede semplicemente di riorganizzare la nostra vita, il nostro stile di vita, la nostra cultura, la nostra scuola, il nostro modo di accogliere le persone, il nostro modo di fare città.
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