Non è forse la dimensione esperienziale, quella che ti fa toccare con mano una competenza, ma soprattutto che ti va sentire, percepire e autodeterminare come persona? È la dimensione affettiva quella che oggi forse più di ieri, ed in maniera inconsapevole, lascia segni importanti e dà forma agli uomini e alle donne di domani. Paradossalmente, viviamo in un tempo di libertà, in cui si parla di tutto con tutti senza tenere a volte in considerazione l’Altro e la sua storia, si parla di ciò che si pensa, si sente ma non si dà a tutto il sentire la stessa importanza.
Amore e Odio sono state da sempre al centro di contenziosi, perdendo a volte anche il loro significato più profondo. Il dolore e la sofferenza, di contro, mantengono un profilo basso, una sorta di esilio, lontani da ogni discussione e relazione. La loro denominazione viaggia con sinonimi che tendono ad alleggerirne di fatto il senso, e il non voler definire, esprimere, condividere il dolore ci fa riflettere su una società che non vuole guardare alla dimensione del dolore sia che coinvolga se stessi o l’altro. Eppure il dolore insegna, forse in maniera più dirompente di qualsiasi altra esperienza educativa. Il dolore che, nella sua soggettività, non è detentore di una verità universale ma consente di conoscere meglio se stessi e di aprirsi agli altri. Un dolore non di natura solo fisica, ma psico-emotiva, sociale legato ad un contesto storico, culturale dei giorni nostri, un dolore più silenzioso, che difficilmente si racconta e che può sfociare in condotte lesive per la persona stessa.
Un’esperienza complessa che si innesca con una serie di componenti sensoriali che incidono sugli aspetti caratteriali e personali del singolo individuo. All’unicità della persona si associa la sua capacità di valutare quella esperienza, di sopportare e di reagire. Nessuno è immune al dolore che è percepito in misura all’età, al vissuto e ad una serie di fattori che non sminuiscono l’importanza o il valore dell’esperienza dolorosa. Gadamer diceva “Siamo immersi nel dolore e non possiamo separarcene; esso abbraccia tutta la nostra vita e ci pone continuamente di fronte a delle sfide. Pretende molto. Essenziale è tuttavia non perdersi d’animo». Educare al dolore, significa dunque, familiarizzare con il dolore, accettarlo e accoglierlo, favorire quella transizione da l’esperienza che si fa a l’esperienza che si ha.
Educare al dolore significa aiutare la persona ad averne consapevolezza, a non nasconderlo; ex ducere, tirare fuori quella capacità di saper stare nel dolore, ma di sapersi rialzare ed essere portatore di un’esperienza per sé stessi, per gli altri e per il mondo.
Roberta Critelli – Pedagogista