La progettualità, lo sguardo lungo, il ragionare in prospettiva, costituisce da sempre uno degli elementi caratterizzanti del Medico (o di chi ragiona di/sulla salute), o almeno questo è quello che le Scuole di Medicina, a qualsiasi latitudine, hanno sempre, a volte implicitamente, cercato di insegnare. Ne è la prova il passo lungo, e crescente, del significato e della pratica della prevenzione, che oltre a modificare in positivo un destino a volte tragico, si impone sempre di più, via via che diventa chiaro che non avremo, in un prossimo futuro, le risorse per affrontare e curare adeguatamente le malattie conclamate. Quindi prevenire è meglio che curare, anche perché è meno costoso e impegnativo. Lo stesso spirito, lo stesso sguardo prospettico si va affermando in ambito sociale, dove col crescere dell’attenzione per la tutela delle fragilità e della necessità di un adeguato supporto familiare e alla genitorialità, si fa palese l’urgenza di capire, interpretare, intercettare il destino di soggetti affetti da patologie invalidanti (siano esse congenite o acquisite) che sono dipendenti da famiglie che fatalmente invecchiano, e in prospettiva cesseranno di essere l’unico riferimento sociale, fisico, psicologico, affettivo ed economico. Parliamo del “Dopo di noi”, motivo di orgoglio e indice di lungimiranza per chi lo ha concepito, motivo di imbarazzo per chi
non lo sostiene adeguatamente, motivo di ansia crescente per genitori e familiari di giovani soggetti non autosufficienti e dal futuro incerto. Solo chi è a contatto, forzato o volontario, con realtà familiari in cui la sfera della salute è intaccata, conosce a sufficienza le problematiche che scandiscono il tempo e le giornate in questi ambiti, le difficoltà economiche, la necessità di
supporto e comprensione, e la contemporanea distanza da una struttura sociale che per forza di cose è strutturata in funzione della salute e della “normalità”. Né d’altronde è immaginabile che il mondo possa girare solo in funzione della disabilità e della malattia, ma le contromisure e i contrappesi per persone che escono dal ciclo produttivo e dalla routine sociale della “salute” dovrebbe essere una delle prerogative di ogni società civile ed evoluta. È questo l’obiettivo di ogni
politica sociale adeguata, di ogni visione moderna di integrazione generazionale e di ogni politica economica lungimirante. Né d’altra parte è possibile immaginare l’istituzionalizzazione (il ricovero) di ogni soggetto che veda venir meno il supporto genitoriale, o familiare in senso lato, che si tradurrebbe in un fallimento emotivo, sociale ed economico. Ecco quindi prendere corpo un modello di assistenza domiciliare e di supporto diurno, un modello che sia rispettoso della dimensione personale, anche intima, delle abitudini e della dignità dei soggetti coinvolti, e che possa fungere da surrogato (in senso nobile) a un tessuto familiare che inesorabilmente il tempo modifica e dissolve. Obiettivo di un progetto di Sanità e di Socialità che voglia essere contemporaneo ai reali progressi ottenuti in altri campi del fare e del sapere, non deve prescindere dalla promozione di interventi mirati al supporto di fragilità fisiche e psicologiche, ma senza abbandonare (o fare abbandonare) una dimensione domestica, amica, familiare che sia capace di riequilibrare destini sociali e conservare dignità individuali. Una Medicina e una Politica Sociale “di prossimità” come spesso immaginato, anche se non adeguatamente perseguito e praticato. Non dovremmo darci alternative. Non possiamo pensare che l’autosufficienza sia l’unica chiave per una sopravvivenza dignitosa. Dobbiamo interpretare esigenze presenti, ma forse e soprattutto porre attenzione a esigenze future che il più delle volte sono non solo probabili, ma certe e facilmente prevedibili.
Dott. Bonaventura Lazzaro – Direttore Sanitario del Centro Clinico San Vitaliano