La nostra fede professa Dio come Padre di ogni donna e uomo che abita la terra; è questo il fondamento della pace, della giustizia e della gioia. Riconoscere la Sua paternità ci permette di accogliere quanto dice l’Apostolo Pietro nella casa del centurione Cornelio: la Parola di Dio annuncia “la pace per mezzo di Gesù Cristo: questi è il Signore di tutti” (Atti 10,36). Gesù Cristo è la vera pace! Ed è per questo che la Chiesa, comunità dei discepoli del Signore crocefisso e risorto, non può rimanere indifferente davanti al dolore umano e all’angoscia che si eleva da ogni angolo della terra.
Ci aiuta a comprenderlo San Papa Giovanni XXIII, nella Pacem in terris: «La Pace in terra, anelito profondo degli esseri umani di tutti i tempi, può venire instaurata e consolidata solo nel pieno rispetto dell’ordine stabilito da Dio»[1] esso fa «stridente contrasto il disordine che regna tra gli esseri umani e tra i popoli; quasicché i loro rapporti non possono essere regolati che per mezzo della forza»[2].
Ogni volta, dunque, che l’uomo si lascia illuminare dallo splendore della verità, di Cristo, davanti a lui si apre il cammino della pace; essa non è un semplice sentimento umano, né la si può ridurre come ad assenza di conflitto. La pace è l’orientamento originale della vita attraverso cui ogni vivente si riconosce creato a immagine e somiglianza di Dio. Il Signore Risorto, la mattina del terzo giorno, nel Cenacolo di Gerusalemme, ne fa dono ai suoi Apostoli perché, attraverso il loro annuncio, possa giungere a tutta l’umanità. Il fondamento della pace, per ogni cristiano è proprio la fede nel Signore Gesù, «il prototipo e il fondamento della nuova umanità. In Lui, vera “immagine di Dio” (2 Cor 4,4), trova compimento l’uomo creato da Dio a Sua immagine. Nella testimonianza definitiva d’amore che Dio ha manifestato nella croce di Cristo, tutte le barriere di inimicizia sono già state abbattute (cfr. Ef 2,12-18) e per quanti vivono la vita nuova in Cristo le differenze razziali e culturali non sono più motivo di divisione (cfr. Rm 10,12; Gal 3,26-28; Col 3,11)»[3].
La pace, per questo, oltre ad essere l’attesa insopprimibile di ogni anima, è il frutto della nostra responsabilità nei confronti della storia e dei nostri simili che siamo chiamati a riconoscere come fratelli. Davanti ai rischi e ai drammi che l’umanità sta vivendo, è compito di tutti i credenti cercare in Dio la verità dell’uomo e impegnarsi secondo la Sua giustizia e nell’amore. Di conseguenza, «non può “avere solide basi una società che — mentre afferma valori quali la dignità della persona, la giustizia e la pace — si contraddice radicalmente accettando e tollerando le più diverse forme di disistima e violazione della vita umana, soprattutto se debole ed emarginata”»[4].
Lo insegna, con forza, la Sacra Scrittura; il profeta Michea, nell’ VIII secolo a.C., con la sua predicazione difese gli oppressi, condannò gli idoli e le ingiustizie sociali e annunciò la nascita, in Betlemme di Giuda, del Messia che avrebbe instaurato in Israele un’era di pace: “Uomo, ti è stato insegnato ciò che è buono e ciò che richiede il Signore da te: praticare la giustizia, amare la bontà, camminare umilmente con il tuo Dio” (6,8).
L’esperienza fondamentale per ogni uomo è la dinamicità, la capacità di muoversi e di mettersi per strada; il camminare permette a ciascuno di accorgersi di essere al mondo e lo impegna a costruire la pace per qualificare la sua vita. Non possiamo esimerci, dunque, dalla preoccupazione di riscontrare che «nel mondo attuale i sentimenti di appartenenza a una medesima umanità si indeboliscono, mentre il sogno di costruire insieme la giustizia e la pace sembra un’utopia di altri tempi»[5]. Dice, ancora, Papa Francesco: «occorrono percorsi di pace che conducano a rimarginare le ferite, c’è bisogno di artigiani di pace disposti ad avviare processi di guarigione e di rinnovato incontro con ingegno e audacia»[6]. La pace è il cammino fondamentale dell’uomo davanti al quale nessuno può tirarsi indietro o voltarsi dall’altra parte; lo pensiamo guardando le migliaia di profughi che si allontanano dalla loro casa in cerca di una condizione esistenziale migliore, lo vediamo nel volto impaurito del popolo ucraino che lascia la propria terra per sopravvivere.
Nel Vangelo di Luca, che la Chiesa sta proclamando durante quest’anno liturgico, Gesù edifica il Regno di Dio, contraddistinto, appunto, dal trionfo della giustizia e della pace, facendosi pellegrino da Nazaret fino alla città santa di Gerusalemme, in cui vi entra, risalendo la pianura della Galilea, per celebrare la Pasqua, la festa del passaggio, dell’andare oltre. Mentre si avvicina alla Città di Davide, dal monte degli Ulivi, Gesù piange perché vede il disegno originale di Dio disatteso. Ora mentre si prepara a ricostruire, quel progetto creaturale, invia due dei suoi discepoli ad organizzare il suo ingresso; un asino, sul quale nessuno era mai salito, segno della sua messianicità, (dite alla figlia di Sion: Ecco, a te viene il tuo re, mite, seduto su un’asina e su un puledro, figlio di una bestia da soma cfr. Zc 9,9; Mt 21,5; Gv 12,15), porta in groppa il Signore che trasforma gli archi da guerra in falci e contrappone la mitezza, la semplicità, l’umiltà e la povertà alla violenza, all’arroganza, al potere e alla ricchezza. Gesù, il Messia, l’Inviato, si dirige verso il Tempio, luogo dove Dio aveva posto la sua dimora in mezzo agli uomini, per introdurre l’umanità in una nuova relazionalità, contrassegnata dall’oblatività e dalla fraternità. I suoi piedi, che varcano la porta della Città, realizzano tutte le Promesse, che dai tempi di Abramo, Israele custodiva in attesa del loro compimento; inizia l’era messianica in cui la vita di Dio si offre agli uomini come modello su cui edificare la storia. L’incontro tra Cristo e l’uomo, però, dei fare i conti con l’inciampo del peccato; l’ostacolo che da sempre permette alla logica del potere e del dominio di diventare gli unici criteri, eticamente validi, ad interpretare l’esistenza e a definire il bene. È questo il culto, idolatrico, riconosciuto dalla cultura postmoderna, che Gesù scardina contrapponendolo all’amore appassionato che lo vedrà trafitto sulla croce. Dalla Pasqua di Cristo vivere significherà donare sé stessi e la pace è frutto di quest’amore, per questo, il Suo regno sarà racchiuso nel pane spezzato con cui l’uomo condividerà, fino alla fine dei tempi, la vita stessa del Figlio.
La pace, speranza dell’uomo, in Cristo, trova la sua realizzazione; beati sono e saranno coloro che guardando il trafitto, sul legno della Croce, crederanno. La fede spalanca il cuore, anche in mezzo alle nubi di guerra che si stanno addensando davanti a noi; la pace è Gesù stesso, l’unica verità e la via dritta per il nostro cammino.
Sac. Ferdinando Fodaro – Catecheta e dottorando in Teologia dogmatica
[1] Giovanni XXIII, lettera enciclica, Pacem in terris, 11 aprile 1963, n.1.
[2] Idem, 3.
[3] Pontificio Consiglio della Giustizia e Della Pace, Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, n. 431.
[4] Benedetto XVI, lettera enciclica, Caritas in Veritate, 29 giugno 2009, n.15.
[5] Francesco, lettera enciclica, Fratelli tutti, 03 ottobre 2020, n.30.
[6] Idem, n. 225.
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