Il ventinove gennaio scorso ho ricevuto da mons. Bertolone il gradito invito a relazionare, in Basilica, insieme con tre illustri uomini di cultura, sul pensiero di Papa Francesco riguardante, diciamo più comodamente sebbene impropriamente, l’ecologia. Il piacere si è raddoppiato quando, per prepararmi bene, ho dovuto riprendere, questa volta per studiarli, a leggere le sue encicliche, “Laudato si e Fratelli tutti”, nelle quali il Santo Padre ha trattato i temi, tutti i temi, della sofferenza della terra e quelli della sua salvezza, nel tempo che ormai tempo non ce ne concede per salvare la vita donataci da Dio con tutto il suo magnifico corredo. Sepolto nel mio disordine in studio c’è, quasi abbandonato, il mio intervento, quasi tutto scritto, e a mano, diversamente che in altre occasioni in cui, per difetto professionale, parlo a braccio. Meglio lasciarlo riposare, chissà che non cresca come l’erba e i fiori nei campi. Forse, è meglio dire cresceva visto com’è ridotta la terra, inaridita, bruciata, asciutta d’acqua o dalla stessa rovinata quando come temporale sulla sua fragilità imposta ripetutamente si abbatte. Pensiamo ad altro, allora, nella mattina di questo scrivere. La prima cosa che mi viene in mente, e non è poca per me, è la scoperta, attraverso questo ricontatto del pensiero dei due Francesco, che i due uomini sono, nella diversità profonda storica e non, personale e culturale, una sola persona, che il nome stesso conduce a quel Cristo che li ha inondati del Suo amore e del Suo magistero e al quale per ciò stesso sono tanto vicini fino alla più stretta rassomiglianza. Scopro altro, in questa occasione, di bello e di tragico. Scopro, di bello, che sulla Felicità ci ha detto tutto Gesù duemila anni fa e sulla bellezza inviolabile della Terra, ci ha insegnato tutto Francesco d’Assisi ottocento anni fa. Di bello e di tragico insieme, scopro che ad ammonirci sui gravi rischi che il pianeta corre nell’ultimo miglio della sua autodistruzione è stato questo Francesco, l’uomo, diversamente dal primo, vestito di bianco, che a quel suo duro ammonimento ha messo tutto l’Amore che un uomo possa prendere da Dio per consegnarlo a tutti gli esseri umani, che di se stessi e dell’Amore si sono dimenticati. Di tragico ho scoperto che questi insegnamenti non ci sono serviti, quelle voci e quelle parole non abbiamo udito. Di tragico ho scoperto la nostra cecità e la nostra sordità dinnanzi alle rovine della terra e al suo grido, prima d’aiuto, e poi, sono già tanti anni, di rabbia e di disperazione. Rabbia che sempre più si sta trasformando in punizione verso i suoi abitanti, stupidi e ingrati verso di esso, che ogni bene e ogni frutto ha elargito da quando siamo qui. Ho scoperto anche l’afasia di questa umanità, che neppure nelle sue parti più colte e sensibili riesce a dire una sola parola a difesa del pianeta. Una sola parola per dire “basta, fermiamoci in questa corsa incontrollata verso il baratro.” Gli unici a parlarne sono una ragazzina svedese, Greta Thumberg, che proprio l’altro ieri ha parlato a Milano nella conferenza sul clima, presenti i ministri dell’ambiente dei più importanti paesi. Questa volta più che nello stesso suo discorso all’Onu di circa un anno addietro, si è servita di soli tre suoni labiali per denunciare il vile comportamento dei governanti. C’è tanto nel suo pur breve discorso, che andrebbe riletto e portato nelle scuole, ma quel “bla bla bla” rivolto ai potenti è più che una frustrata sulla loro schiena nuda. Fatto nuovo, in quel contesto, le parole di Leah Namugerwa, la sedicenne ugandese che ha denunciato la triste sorte dell’Africa prima affamata e poi costretta a subire, come una beffa, le conseguenze dei danni ambientali prodotti dai paesi ricchi. Una beffa contro la quale ha riversato anche il suo pianto a dirotto, piegandosi sul leggio a fine intervento. E, poi, c’è Francesco. Il Papa, per noi cattolici, il leader che manca all’umanità per gli altri che non siano dominati dal fanatismo religioso. Cosa ci dice Francesco, con quella sua voce tenera e forte, sussurrante e urlante, e quelle parole quiete e tumultuose, pacate e rapide, mosse come un canto e una preghiera, una protesta e un atto rivoluzionario. Come un’utopia e un progetto politico. Ci dice dell’attualità stringente di Francesco d’Assisi, il santo per tutti. E ce lo dice nel modo più semplice e poetico, quasi che avesse tradotto in pensiero organico, in filosofia della vita, in teologia dell’Amore, quel Cantico delle creature, che ancora risuona nell’aria “bucata nell’ozono, soffocata da tutta la sporcizia che dalla terra avvelenata sale sempre più in alto. “Laudato sie, mi’ Signore cum tucte le tue creature…” Il sole, la luna, le stelle, il vento, l’acqua, il fuoco, la terra, i diversi frutti della terra e l’erba, il cielo. La Pace. Francesco d’Assisi ha messi tutti i doni offertici da “Altissimu, onnipotente, bon Signore”, che anche per questo merita “ le laude, la gloria e l’honore et onne benedictione.” Una preghiera, la Sua? Una benedizione? Una poesia? No, o forse sì, ma non sono solo questi. C’è nel Cantico un’idea del Creato, un’immagine dell’uomo nuovo quale principale custode di se stesso e di quei doni. Doni fatti per lui, affinché dalle sue mani possano nascerne di altri simili a quelli, per quanto irraggiungibili in perfezione. Ché l’uomo ha ricevuto il compito di custodire la Natura ma anche quello di creare cose nuove e belle. E senza limiti di alcun genere se non quello imposto dall’imperativo categorico di non modificare la legge della vita. Nel Cantico c’è anche il disegno di un mondo indissolubilmente unito alle creature per il quale è stato creato (o come diversamente volessero intenderne la nascita i non credenti). “Frate Sole, sora Luna, frate Vento, sor’Acqua, frate Focu, matre Terra”, Francesco d’Assisi sostantivizza gli elementi più preziosi della Natura non solo per il suo sentire cristiano e per la forza della Fede, che tutti gli elementi accomuna al mirabile disegno divino. Li identifica tutti come fratelli e sorelle e madre, per affermare che ovunque c’è vita c’è la Vita. E che nella Vita ciascuna singola vita non solo è uguale alle altre ma delle altre si serve ed è servita. Sorelle e fratelli tutti, figli dell’unica madre, la Terra, e dell’unico Padre, creatore della Terra, per indicare nella fratellanza e nello spirito filiale l’ambito senza confini in cui realizzare la più grande relazione d’Amore. Quella tra gli esseri umani. E, senza neppure un millimetro di discontinuità, quella tra gli uomini e la Natura. È tutto in questo spirito il titolo dell’ultima Enciclica di Francesco il Papa. “Fratelli tutti”, richiamandosi totalmente, e fedelmente interpretandolo, al pensiero del Santo, indica una sola via per salvare questo nostro martoriato pianeta, la fratellanza. È in questo atto d’Amore che si può trovare la via per salvare il Pianeta e costruire un nuovo ordine mondiale che ribalti totalmente la cultura omologante del profitto in cui gli esseri umani, prima divisi tra ricchi, pochissimi, e poveri, moltissimi, e poi trattati tutti come merce e insieme consumatori, sono diventati progressivamente i nuovi schiavi al servizio di un nuovo capitalismo. Il più crudele dei sistemi, cioè, perché antidemocratico e antiumano. Rispetto a questo dovere che l’uomo ha verso se stesso e nei confronti della Vita, più che le ideologie, vecchie o nuove, serve percorrere la strada tracciata da San Francesco, il Santo dei Santi, il politico più autentico e vivo, idealmente posto a guida di qualsiasi Umanità che voglia dirsi veramente umana.
Franco Cimino, Docente e Giornalista
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